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solo un punto di vista, poi basta

19 Mar

A seguito di alcune discussioni sulla presentazione a SOFTxBIB 2011, volevo riassumere brevemente la mia opinione sullo stato dell’automazione in Italia. Poi non lo faccio più, prometto.

Innanzitutto c’è il problema delle risorse finanziare, che colpisce un po’ tutti, ma che incide particolarmente sul mondo delle biblioteche.
Ma non sto parlando solo della crisi economica. Sto parlando soprattutto del modo in cui le biblioteche scelgono un sw, ovvero di chi effettivamente decide l’acquisto. Già l’avevo notato all’università, ma lavorando molto per le biblioteche pubbliche, mi sono accorto che quasi mai la decisione spetta ai bibliotecari.
Bandi di gara, rinnovi di contratti, l’acquisto di una stampante o un nuovo computer, sono tutte scelte per cui la consultazione con i bibliotecari può avvenire, certo, ma non è vincolante. All’università chi sceglie sono i docenti, in un comune gli assessori. E quanti di questi sono stati visti recentemente alle Stelline o simili?
Capite quanto può essere dura convincere della necessità di un nuovo toner, le stesse persone che negli anni hanno riempito le biblioteche di impiegati piuttosto che di bibliotecari. Il tutto causa quel circolo vizioso per cui, non valorizzando i servizi delle biblioteche, la percezione del loro valore non aumenterà mai.
Per quanto riguarda le aziende del settore, se assumiamo che il collo di bottiglia della gestione finanziaria sia rappresentato dalla componente politica e che raramente vi sia sinergia tra questa e i bibliotecari, è lecito chiedersi dove le aziende scelgono di collocarsi e quanto questo influisca sulle strategie di sviluppo.

C’è poi il problema, un po’ più strano, dello scarso interesse da parte dei bibliotecari nei confronti di temi più “informatici”, che ha provocato un’ulteriore diminuzione della loro influenza sulle politiche di sviluppo delle aziende.
SBN è stato un progetto entusiasmante per quanto riguarda questi temi, ma la mia impressione è che si sia arenato troppe volte nel collo di bottiglia di cui prima, fino a diventarne una parte importante esso stesso.
E ora ci ritroviamo a parlare di ebook mentre di fronte abbiamo software totalmente client-side, incapaci di dialogare con altri sistemi, interfacce web anni ’90 e pochissima confidenza coi fenomeni del 2.0.

Un’ultima cosa riguarda poi la comunicazione delle aziende. Credo che, visto il panorama un po’ stagnante, le aziende non si sentano stimolate a diffondere quello su cui stanno lavorando, tanto quanto non sono stimolate a rilasciare il codice, perchè si chiedono “tanto chi lo leggerà? chi lo vorrà provare?”.

A questo proposito, mi spiace un sacco non aver fatto in tempo a rispondere al questionario inviato da Vanni Bertini, e mi riprometto di aggiornare il sito di Comperio il prima possibile, per integrare le informazioni che trovate nel “Rapporto sulle biblioteche italiane 2009-2010“.

 

percepisco una vibrazione nella forza

1 Mar

L’altra percezione, pubblicata online esattamente un mese fa, è l’annuale report di Marshall Breeding sulle tendenze nel campo dei sistemi integrati per biblioteche (ILS).

Breeding, oltre a scrivere su Library Journal, raccoglie e mantiene sul suo sito Library Technology Guides un discreto database di prodotti e rivenditori di software per biblioteche. Le informazioni contenute sono principalmente prodotte dalle biblioteche, che possono segnalare il prodotto che utilizzano. Inoltre, ogni anno, Breeding mette online un questionario dove raccoglie dati sulla soddisfazione dei prodotti, delle compagni ed eventuali cambi di prodotto.

Al di là delle possibili critiche legate a queste “perceptions” (v. Dan Scott nel 2009 o Ed Corrado nel 2010), vorrei fare un paio di osservazioni:

1. è possibile avere un modello di business basato su software open source (vedi ByWater Solutions, Equinox, MediaFlex, ecc ecc). Lo so, suona come la scoperta dell’acqua calda. Ogni tanto però mi chiedo, come utente finale, cosa impedisca ad una azienda di rilasciare il suo codice sorgente.
Siccome l’ho sentita, vi riporto una possibile risposta: “tanto poi i bibliotecari cosa se ne fanno?”
Ok, secondo me è una risposta stupida, ma fa riflettere su una cosa: nessuno di noi andrà mai a leggersi il codice scritto da qualcun’altro senza un valido motivo.
E allora, se invece di tutto il codice, che va bene non mi leggo, chiedessimo semplicemente una API documentata?
Vabbè, mica l’ho detto io, mi pare sia stato scritto su Computers in libraries da Ellen Bahr.
Nel 2007.

2. tempo fa, non ricordo dove, leggevo che si pensava di ristrutturare il sito dell’AIB per utilizzare un CMS. Sarebbe bello riuscire a infilarci dentro anche una cosa simile a quella fatta su LTG, basata sulla possibilità degli utenti di segnalare il software utilizzato, non dovrebbe essere complicato e forse renderebbe più semplice mantenere le informazioni aggiornate.
p.s. hey, qui manca Clavis 😛

percezioni e propositi anglosassoni (e una media divagazione)

9 Feb

A chi fosse sfuggito, nelle ultime settimane sono uscite un paio di “percezioni” interessanti per il mondo delle biblioteche e dell’automazione bibliotecaria. Questa è una.

Perceptions of Libraries, 2010: Context and Community (segnalto su CIBER Newsletter) è un report, commissionato da OCLC, che va ad integrare il ben noto report del 2005 con i dati degli ultimi 5 anni circa la percezione delle biblioteche da parte degli utenti anglosassoni. Il context riguarda sostanzialmente i mutamenti seguiti alla “grande recessione economica americana iniziata nel dicembre 2007 e terminata nel giugno 2009, secondo il National Bureau of Economic Research“. La community offre un’analisi delle risposte su base generazionale: studenti del college (18-24 anni), teenager (14-17) e giovani adulti (18-24), generazione x (25-45), boomers (46-64), anziani (65+).
Consiglio a tutti la lettura (tranquilli è pieno di grafici e grandi immagini) e, tra le tante cose importanti, mi va di sottolinearne alcune trovate in fondo, tra i “propositi dell’anno nuovo”:
– il sito della biblioteca non è un punto di partenza per le ricerche di informazioni online. Dobbiamo esserne dispiaciuti? No. Ma approfittiamone per chiederci cosa può fare la biblioteca sul web, oltre a presentare il catalogo e l’orario di apertura. Bisognerebbe migliorare il supporto alle attività delle comunità vicine alla biblioteca e la tempestività con cui sono pubblicate le informazioni. Più in generale, rivalutare l’investimento di tempo nei confronti della presenza online.
– la presenza online non sostituisce il valore della biblioteca fisica, anzi, questa viene frequentata sempre di più, e non solo per la possibilità di risparmio derivante dal prestito di libri o dvd, ma anche per l’insieme di altri servizi che la biblioteca può offrire gratuitamente (postazioni internet, aiuto nella ricerca di lavoro, corsi, incontri, ecc.).
“e-books are books”. Da un lato bisognerebbe iniziare ad affrontare delle strategie sul lungo termine per la diffusione di e-book. Dall’altro il tema andrebbe affrontato in senso più esteso, parlando dell’approccio dei lettori all’informazione elettronica di qualità. Come la cercano? Si arrangiano. Cosa può fare la biblioteca? Aiutarli ad arrangiarsi. In questo senso “e-books are books”, l’informazione elettronica è sempre informazione e dalle biblioteche sarebbe lecito aspettarsi campagne di information literacy sempre più orientate al modello attuale di ricerca di informazioni online da parte degli utenti.

NOTA:
si tratta di “percezioni” del panorama anglosassone (per lo più statunitense), quindi dalle nostre parti tutto questo resta un bellissimo stimolo, ma secondo me va preso con le pinze. Esiste una cosa simile (aka dati sul rapporto utenti-biblioteche) per l’Italia? Dove la trovo? Anche vecchia va bene.

POTS (post off-topic scriptum):
Ho scoperto l’esistenza di “I media tra crisi e metamorfosi: ottavo rapporto sulla comunicazione” da parte del Censis (1200 risposte in 9 giorni, contro le 2229 in 7 giorni di OCLC 😛 ). Nelle note metodologiche, l’oggetto del sondaggio é “monitoraggio dell’evoluzione dei consumi mediatici in Italia”. Leggendo la recensione sul’bollettino AIB riesco a tradurre “consumo mediatico” con “consumo di mass media”, e già mi partono alcuni neuroni pensando alle ambiguità della parola media. Poi finisco su queste citazioni del rapporto, in riferimento ai (mass?) media digitali: «i media digitali tendono a non sostituire o ad affiancare gli altri mezzi, ma ad assorbirli, permettendo la diffusione dei mezzi e la moltiplicazione dei messaggi»,«lo slogan della comunicazione digitale è diventato il messaggio è il medium». Cosa???? Unisco le frasi e traduco: i media digitali assorbono altri media permettendo di diffondere media e moltiplicare media. Ah….e McLuhan aveva sbagliato tutto….
Vabbè…buonanotte.

Perceptions of Libraries, 2010: Context and Community